Ci siamo. Come si suol dire, i nodi vengono al pettine!
La “globalizzazione” è divenuta un tratto saliente del mondo contemporaneo, come lo furono le fabbriche nel secolo scorso. Il segno tangibile di tale processo è dato dall’interscambio commerciale in costante aumento, che si traduce nella congestione sempre maggiore di porti, aeroporti, autostrade, e dall’export che è divenuto sempre più fattore primo di sviluppo per le maggiori economie globali, Unione Europea inclusa.
Dietro la rinvigorita attività commerciale internazionale dell’UE, esiste una serie di accordi tra questa e numerosissimi Paesi terzi che mira a facilitare l’interscambio. Tali accordi puntano a riservare un trattamento “preferenziale” ai prodotti oggetto di scambio tra i Paesi cosiddetti “accordisti” a condizione che vengano rispettati determinati requisiti. È quindi molto importante poter attestare l’origine preferenziale dei prodotti al momento dell’esportazione degli stessi, onde poter beneficiare del trattamento di favore che, tramite l’abbattimento dei dazi all’import, si traduce in un immediato vantaggio in termini di competitività aziendale. L’attestazione di origine preferenziale prevede però il rispetto dei requisiti richiesti, presenti negli accordi. Chi conosce questi accordi? Come è possibile sapere se i prodotti che si esportano hanno diritto alle preferenze? Le domande prevedono risposte complesse. Questo, perché la UE ha “stretto” accordi con moltissimi Paesi terzi e le condizioni che attribuiscono “l’origine preferenziale” ai prodotti non sono cristallizzate, ma dipendono da numerosi fattori: il Paese di destinazione dei prodotti (quello verso il quale si esporta), il prodotto oggetto della vendita (opportunamente codificato con il codice doganale corretto), il valore “franco fabbrica” (EXW) del prodotto, il valore (e, talune volte, financo il peso) dei componenti NON ORIGINARI della UE, presenti nel prodotto medesimo. Un esempio può meglio chiarire il ragionamento astratto: consideriamo che la nostra azienda, produttrice di valvole, voglia esportare in Albania godendo dei benefici tariffari previsti dall’accordo che l’UE ha con il Paese dell’aquila bicipite.
Occorre innanzitutto verificare quale sia la regola prevista dall’accordo UE-Albania per la voce doganale 8481 (le regole negli accordi sono infatti ordinate in base alla voce doganale, vale a dire in base alle prime quattro cifre del codice tariffario).
Non sempre, però, esistono regole specifiche per tutte le voci doganali: nel nostro caso si applica infatti la regola cosiddetta dell’ex capitolo. Non essendo prevista alcuna regola per la voce doganale 8481, si applica la regola del capitolo 84.
Tale regola prevede due alternative (poste nelle ultime due colonne) tra le quali è possibile scegliere quella per noi più conveniente, ovvero quella più facilmente soddisfabile:
Ex Capitolo 84
Reattori nucleari, caldaie, macchine, apparecchi e congegni meccanici; loro parti; eccetto:
Fabbricazione:
- a partire da materiali di qualsiasi voce, esclusi quelli della stessa voce del prodotto, e
- in cui il valore di tutti i materiali utilizzati non supera il 40% del prezzo franco fabbrica del prodotto
Fabbricazione in cui il valore di tutti i materiali utilizzati non supera il 30% del prezzo franco fabbrica del prodotto
La prima alternativa prevede che possa acquisire l’origine preferenziale una valvola (sempre nel nostro caso) in cui i materiali NON ORIGINARI impiegati siano classificati in qualsiasi voce doganale (4 cifre) ad esclusione di quella in cui rientra il prodotto finito (8481) – rappresentandone vieppiù in percentuale non più del 40% del prezzo EXW. La seconda alternativa prevede che il prodotto acquisisca l’origine preferenziale attraverso un processo produttivo in cui i materiali NON ORIGINARI siano classificati in qualsiasi voce (COMPRESA quella della valvola), purché non rappresentino più del 30% del prezzo EXW della valvola in questione.
In realtà, l’esempio evidenzia un limite quasi insuperabile per la nostra azienda: non tanto la complessità dei calcoli da effettuare sul proprio processo produttivo, quanto una effettiva conoscenza del contenuto degli accordi commerciali, in cui le regole per l’attribuzione dell’origine preferenziale variano anche considerevolmente di accordo in accordo. Solo questa conoscenza, supportata da una adeguata abilità interpretativa, può garantire la corretta attestazione di “origine preferenziale” richiesta al momento dell’esportazione, senza incorrere nelle sanzioni previste, legate alle false dichiarazioni rese negli atti pubblici. Se possibile, la questione si complica ancor più quando chiamato a rilasciare la dichiarazione sull’origine è il fornitore di un esportatore e quindi un soggetto che normalmente non è avvezzo a “trattare” temi quali “l’origine dei prodotti” – che impattano perlopiù sui soggetti che operano con l’estero. Tuttavia, cosa accade quando un soggetto che non operi con l’estero si trovi nelle condizioni di dover rilasciare una c.d. “dichiarazione del fornitore”? O una c.d. “dichiarazione di lungo termine del fornitore” (“long term supplier’s declaration”, LTSD)?
In effetti, per rendere tale dichiarazione all’esportatore, il fornitore deve avere conoscenza degli eventuali prodotti NON ORIGINARI della UE ai sensi degli accordi, eventualmente presenti nel prodotto che egli fornisce all’esportatore. Laddove nel suo procedimento produttivo utilizzi componenti acquistati da altri soggetti, è necessario che si accerti a sua volta dell’origine di detti componenti dai propri fornitori. Pertanto dovrà richiedere ancora una dichiarazione di origine ai suoi fornitori. Questi saranno costretti, per avere consapevolezza relativamente alla dichiarazione richiesta, a procurarsi tutti gli strumenti utili a tali fini seguendo un percorso del tutto simile a quello dell’esportatore finale.
Una vera e propria reazione a catena, dove non è ammessa ignoranza e, tantomeno, sono consentiti errori o superficialità.